Brevi annotazioni sui pittori Mainardi detti Chiaveghino

L’ultima volta il Turista casuale ha parlato di Bernardino Campi, autore importante così come Aurelio Gatti per aver introdotto nel territorio bergamasco il linguaggio pittorico cremonese. Se il secondo non risulta avere bottega, il primo ne possedeva una a Cremona, dove si era formata anche Sofonisba Anguissola, il già citato Coriolano Malagavazzo, Giovan Battista Trotti detto Malosso e Andrea Mainardi, detto Chiaveghino.
 
Il Torchio Mistico con sant’Agostino, realizzato da Andrea Mainardi nel 1594 per la chiesa cremonese di Sant’Agostino. Fonte: http://www.cassiciaco.it/navigazione/iconografia/pittori/cinquecento/mainardi/mainardi_2.html

Se andiamo a spulciare lo Zaist o qualsiasi altro storico cremonese, notiamo che coloro che venivano soprannominati Chiaveghino erano pittori sono due: Andrea e suo nipote Marcantonio. Andrea nasce nella seconda metà del Cinquecento e le prime annotazioni cronologiche risalgono agli anni Settanta del secolo, quando è segnalato come testimone per alcuni rogiti. Il suo soprannome, come quello di tutta la sua famiglia, deriva dal fatto che essi abitavano in prossimità della Cremonella, l’ultimo tratto del Naviglio di Cremona, utilizzata sia per l’approvigionamento idrico sia come fogna, appunto la chiavega. Moltissimi i suoi lavori in città e in provincia, come L’incontro fra i santi Gioacchino ed Anna nella chiesa cittadina di Sant’Agostino del 1590, e la Madonna in gloria con le sante Margherita e Marta nella chiesa di Santa Margherita di Pandino, del 1586. Il pittore, attivo anche in Emilia, sviluppa, durante la sua carriera, un linguaggio autonomo che affonda le sue radici nell’arte sua contemporanea: Andrea guarda ai fratelli Campi, al naturalismo del Moretto ma anche a quello fiammingo, avvicinandosi e talvolta allontanandosi dalla maniera emiliana del Malosso. Andrea muore nel 1617 e aveva già nominato suo erede universale il nipote Marcantonio, figlio del fratello Francesco Giuseppe e già aiutante dello zio. Marcantonio nasce con tutta probabilità negli anni Settanta del Cinquecento. Il suo linguaggio artistico risente molto dell’influenza dello zio e, oltre alle commissioni cittadine, anche lui lavora molto in provincia. Sempre a Pandino realizza una Trinità adorata da santa Marta e dai Disciplini rossi, ora in parrocchiale (1599) ed è facile pensare che questa commissione fosse dovuta allo zio, ancora vivente, che era già stato attivo a Pandino circa una decina d’anni prima.

Una delle opere più interessanti di questo autore è, secondo me, la Conversione di san Paolo, realizzata per la parrocchiale di Pumenengo. La grande tela, incorniciata da una soasa lignea dorata, si trova dietro l’altare maggiore. E’ firmata e datata in modo “sbagliato”, perché l’autore scrive 1576, anno in cui Marcantonio non era che un bambino. Secondo gli Atti degli Apostoli, la conversione di Saulo di Tarso sarebbe avvenuta dopo la morte di Cristo, presumibilmente nel 36 d.C. e se sommiamo questi anni a 1576 il risultato è 1612, anno di effettiva realizzazione della Conversione di Pumenengo.

 Il dipinto, come già detto di dimensioni notevoli, era stato concepito proprio per quella chiesa, oggi dedicata ai santi Pietro e Paolo ma un tempo dedicato alla Vergine e alla Conversione di san Paolo. Il pittore mantiene gli aspetti favolistici che caratterizzano la sua produzione: osservando la fortezza turrita sullo sfondo, così perfetta e luminosa, ci sembra normale possa uscire un principe cortese da un momento all’altro. L’attenzione dell’osservatore è centrata sulla scena principale, appunto Saulo che sulla via di Damasco viene illuminato dalla grazia divina. Il suo turbante, così come l’abbigliamento dei vari personaggi, sono contemporanei all’autore e il copricapo del protagonista sembra stato scelto per dargli un aspetto esotico. In primo piano si trova una mischia movimentata che rende l’idea dello scompiglio del momento e la presenza del cane può rappresentare la fedeltà di Paolo a Cristo. Il cromatismo scelto dall’autore è caldo ed acceso, distante da quello freddo che caratterizza la pittura controriformista del primo Seicento. Si tratta di una delle opere della maturità di Marcantonio, che muore a Cremona nel 1629. Con lui si conclude la storia dei pittori  Mainardi, entrambi capaci a modo loro di riadattare il linguaggio pittorico corrente in una chiave più personale.

Bibliografia

. I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Raccolta di studi a cura della Banca Popolare di Bergamo. Il Seicento, tomo II, Bergamo, Edizioni Bolis, 1984, p. 32.r

. Gregori, Mina (a cura di), I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, Milano, Electa, 1985, pp. 231-237.

Lilliu, Roberta, Sulla parrocchia dei santi Pietro e Paolo di Pumenengo, in I Quaderni della Geradadda, n. 20, Credito Cooperativo di Treviglio, 2014, pp. 19-25.