Come si conviene a Natale, anche il turista casuale ha pensato ad un piccolo presente per i suoi lettori! Di seguito il contributo della dottoressa Letizia Barozzi, che ci parla della Disciplina di San Cristoforo a Mompiano.
La Disciplina di San Cristoforo a Mompiano è stata recentemente oggetto di un accurato restauro, che ha portato alla riscoperta della sua decorazione murale. L’analisi stilistica e cronologica si deve al puntuale studio di Fiorella Frisoni, mentre chi scrive si è incaricata della lettura iconografica. Entrambi i contributi sono stati pubblicati nel volume La Disciplina di San Cristoforo a Mompiano. Arte, Storia e Spiritualità, edito da Compagnia della Stampa / Massetti Rodella Editori, 2021.
Nella Valle di Mompiano, a pochi passi dalla città di Brescia, svetta l’edificio dell’antica parrocchiale, titolata a Sant’Antonino, un tempo luogo di culto affiliato all’importante monastero cittadino di San Faustino Maggiore. Sul fianco della chiesa, si trova una piccola porta dalla cornice di marmo, lo stipite decorato da un simbolo molto particolare: è un flagello a tre corde, emblema dei Disciplini, membri di confraternite che traevano il nome proprio dalla disciplina: a tre o cinque corde, questo singolare oggetto era lo strumento principale per le loro pratiche penitenziali, che prevedevano l’autoflagellazione pubblica o privata. Tra XIV e XV secolo queste società laiche si diffusero nel territorio del Sebino e della Franciacorta, lasciando numerose testimonianze di una vivace committenza artistica. Le Discipline, sedi delle Fraternitates, costruite spesso accanto alle chiese parrocchiali, si arricchirono di pitture murali, perfetto contraltare visivo alla pratica della teatralizzazione dei principali passi neotestamentari, in particolare quelli dove erano messe maggiormente in risalto le qualità umane dei principali personaggi della storia sacra.
Così avviene anche nella Valle di Mompiano: varcando la soglia della Disciplina, oltre un breve vestibolo, si accede ad un ambiente straordinario, ad aula unica e voltato a botte, interamente affrescato con un ciclo di Storie della Passione di Cristo. Come nel racconto della lauda, gli affreschi ripercorrono gli episodi salienti della Passione, dall’Orazione nell’orto, alla Crocifissione, sino alla Resurrezione, trasmettendone efficacemente la potenza drammatica: la grande forza che caratterizza la narrazione dipinta fa delle discipline veri e propri scrigni di laude visive. Al centro di questa preghiera pittorica, schietta e immediata quanto era la lingua volgare, sta la Crocifissione, a cui i Disciplini erano particolarmente devoti: la sua posizione centrale non è solo dovuta alla presenza dell’altare, ma rimarca il suo ruolo di fulcro visivo della preghiera. Con il vigore patetico di un compianto ligneo, le figure dei dolenti si affiancano alla Croce, torcendosi le mani, gli occhi arrossati di pianto, le bocche semiaperte, come semiaperta è la bocca di Cristo: un Christus non Patiens, ma Passus, già spirato: il colore è scomparso dall’incarnato, proprio come accade nel Crocifisso di Giotto in Santa Maria Novella, a Firenze, gli angeli si precipitano in volo a raccogliere il sangue sgorgante dalle piaghe.
La grande Crocifissione centrale è il culmine delle Storie della Salvezza, che si avvicendano sui muri dell’aula in una teoria di riquadri: sulla parete destra compaiono le Storie della Passione, in cui va inserita idealmente anche l’Ultima Cena vicina al presbiterio, mentre la controfacciata e la parete sinistra sono occupate da Storie della Vergine e dell’Infanzia di Cristo, perfetto completamento delle Storie della Salvezza.
Tutto il ciclo è il risultato non del lavoro di un unico maestro, bensì di più interventi, susseguitisi nel corso di circa un cinquantennio: il primo affresco ad essere realizzato, probabilmente negli anni ‘70 del Quattrocento, fu proprio la Crocifissione del presbiterio, destinata ad adornare l’antico altare maggiore e, in un primo momento, unico decoro della Disciplina, assieme ad un velario che correva sul primo registro delle pareti. Gli altri episodi furono dipinti da mani diverse, nell’arco di un periodo che va dall’ultimo decennio del Quattrocento fino agli anni Trenta del Cinquecento, e costituiscono un tassello importante nel variegato mosaico della storia dell’arte bresciana, nonchè un utile termine di paragone con altri contesti simili coevi, come la Disciplina della Maddalena a Provaglio d’Iseo e l’Oratorio dei Disciplini di Orzivecchi.
Nelle storie cristologiche, piccoli personaggi si muovono in stanze dall’ingenua prospettiva. Ma l’espressività dei volti reca l’impronta di un realismo d’Oltralpe: spira un vento proveniente da Nord, da Trento e dall’Alto Adige, nella verità dei visi e dei gesti compiuti dagli attori della storia sacra. Nella scena della Flagellazione, forse la più cruda tra quelle rappresentate, i carnefici si avventano sul corpo piagato del Cristo legato alla colonna con particolare foga: i loro lineamenti stravolti dalla violenza lanciano all’osservatore un preciso e sinistro messaggio.
La pittura dei Disciplini: tratti di iconografia antiebraica.
Osservando meglio un riquadro come quello della Flagellazione, non si può fare a meno di notare una serie particolari iconograficamente molto interessanti: Cristo è al centro della scatola prospettica, legato alla colonna, mentre due carnefici si accaniscono su di lui. I due manigoldi sono connotati in maniera eccessivamente negativa, a partire dai volti, che presentano dei profili ferini, nasi adunchi, tratti bestiali: siamo di fronte alla prima iconografia esplicitamente antiebraica del ciclo pittorico della Disciplina, cosa assolutamente non inusuale all’interno di un contesto simile. Spesso i Disciplini, seguendo in questo la predicazione francescana contro i banchi di prestito ebraici, non mancavano di inserire all’interno della decorazione dei loro oratori iconografie precisamente volte a lanciare un messaggio antiebraico: una delle immagini che più compaiono in contesti disciplinati è quella di Simonino da Trento, presunto martire e oggetto di una vicenda che vide imputata la comunità ebraica di Trento. Di Simonino esistono moltissime immagini nel nostro territorio, anche in contesti confraternali: egli è rappresentato in San Pietro in Lamosa nel vano che rendeva comunicanti la Disciplina della Maddalena e la chiesa, un punto estremamente importante per la pratica liturgica della confraternita. Nella Flagellazione di Mompiano, così come nella Derisione di Cristo, i volti dei manigoldi sono sgraffiati, un graffio inferto allo scopo di esorcizzare il male.
Anche la rovinatissima Ultima Cena trasmette un messaggio simile attraverso un particolare: sulla tavola imbandita, si distinguono le sagome rosse di piccoli gamberi, un animale che stagionalmente cambia il proprio guscio ed era quindi legato alla morte e resurrezione di Cristo. Ma il suo procedere all’indietro simboleggiava per l’uomo medievale l’ostinata incapacità del popolo ebraico di convertirsi al messaggio evangelico. Così, le figure monumentali degli Apostoli, simbolo della comunità della Chiesa e disposti in maniera paratattica su un unico lato della tavola, si contrappongono alla persona di Giuda, di minori dimensioni rispetto agli altri commensali. La pelle scura e il profilo demoniaco, con il naso adunco e la barba puntuta, ne fa l’unica figura a non mostrare il carattere aggiornato e leonardesco di tutta la rappresentazione.
Così la Disciplina di Mompiano, oltre a documentare l’opera di botteghe di artisti operanti sul territorio a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, custodisce il prezioso tesoro di un ricco linguaggio iconografico, capace di trasmetterci il comune sentire di un’epoca.
Letizia Barozzi