Il Turista casuale oggi vi porta in Piemonte a visitare la chiesa di San Giorgio a Valperga, nella Città Metropolitana di Torino. L’autore di questo contributo interessantissimo è il dottor Paolo Barosso, giornalista, cultore di storia e scrittore di itinerari in Piemonte, blogger di Piemonteis. Buona lettura!
Sull’altura boscosa che domina l’abitato di Valperga, comune dell’alto Canavese in Piemonte, sorge uno scrigno di arte e di storia, la chiesa di San Giorgio, che racchiude all’interno uno dei più preziosi cicli pittorici tardo-medievali del territorio canavesano. La chiesa si trova nelle adiacenze del castello di Valperga (toponimo che deriverebbe dal germanico Wald, bosco, e Berg, monte), una struttura di notevoli dimensioni, frutto di ingrandimenti successivi, che viene fatta risalire da alcuni studiosi, nel suo nucleo embrionale, alla fine del X secolo, anche se questa ipotesi non è suffragata da prove certe. Si ritiene che, probabilmente al principio del XII secolo, il castello entrò in possesso dei conti de Canavise (conti del Canavese), ceppo da cui originarono i conti di Valperga, una delle famiglie più potenti dell’area canavesana che, al pari dei conti di San Martino, rivendicavano la prestigiosa discendenza da Arduino, marchese d’Ivrea incoronato rex Italiae (sovrano del Regno d’Italia) a Pavia nel 1002 nell’ambito della contrapposizione con gli imperatori della dinastia ottoniana (in particolare Ottone III e Enrico II).
Della struttura romanica originaria della chiesa si osserva, in particolare, l’elegante campanile in pietra, con bifore e capitelli a stampella, datato alla fine dell’XI secolo, mentre l’impianto dell’edificio subì progressive variazioni nel corso dei secoli, in particolare con le ampliazioni tre-quattrocentesche e poi con successivi cantieri che, susseguitisi fino al primo Settecento, conferirono all’edificio sacro la sua attuale conformazione. Risalgono, invece, al XV secolo le campagne di abbellimento decorativo che, intraprese per volontà dei Valperga con finalità celebrative del prestigio familiare, condussero alla realizzazione di un vasto ciclo di affreschi che rivestiva in origine non soltanto le pareti interne dell’edificio, ma si estendeva anche all’esterno, rendendo la chiesa di San Giorgio quasi un unicum nel panorama artistico piemontese e non solo.
Gli affreschi esterni, rovinati dalle intemperie e dall’incuria, non sono sopravvissuti, salvo alcune figure di santi notevolmente deteriorate e la scena dell’Adorazione dei Magi, che si salvò in quanto venne inglobata, con i lavori di ampliamento della chiesa, negli spazi della seicentesca Sacrestia Nuova. L’esterno dell’edificio, con le lavorazioni in cotto – fregi, pinnacoli e formelle (a prevalente tema “carpologico”, cioè con fiori e frutti) – e il ciclo pittorico purtroppo scomparso nella sua quasi totalità, era talmente degno di ammirazione che Alfredo D’Andrade, architetto, archeologo e pittore di origine portoghese, ne trasse ispirazione per la facciata della chiesa del Borgo Medievale di Torino, realizzato sulle sponde del fiume Po, nel parco del Valentino, in occasione dell’Esposizione Generale Italiana del 1884 con il proposito di riprodurre, per la Sezione di Arte Antica, un tipico borgo medievale piemontese del XV secolo. Alcuni elementi presenti sul fianco meridionale della chiesa di San Giorgio si trovano così riprodotti nella chiesa del Borgo e questo ci consente di ammirare la copia fedele dell’affresco raffigurante San Bernardo da Mentone (o di Aosta), molto deteriorata nella sede originale, che, con le sue grandi dimensioni, si rendeva visibile già da una certa distanza, insieme con la vicina figura di San Cristoforo, fungendo da punto di riferimento visivo per il viandante che saliva la collina di Valperga.
Le pitture che ornavano l’area presbiteriale, le navate e le cappelle laterali della chiesa di Valperga ebbero sorte migliore, anche se, presumibilmente durante la pestilenza del 1630, quando l’edificio venne adibito a lazzaretto,furono ricoperte da uno strato di calce, prassi diffusa a quel tempo, giustificata dal tentativo di sanificare gli ambienti e contrastare la diffusione del contagio. Tale intervento nascose alla vista gli affreschi, forse contribuendo in parte alla loro salvaguardia, e fu solo in occasione delle campagne di restauro promosse nel Novecento – la prima tra il 1937 e il 1939 e la seconda tra il 2001 e il 2005 – che lo strato di calce poté essere rimosso per consentire il recupero di buona parte delle pitture sottostanti.
Ad eccezione di alcuni lacerti riferibili al periodo romanico (l’Adamo risalente al XII secolo) e a una Maddalena del primo Cinquecento, gli affreschi sono ricondotti dagli studiosi a campagne decorative commissionate dai conti di Valperga, o dai rettori della chiesa a loro legati, in momenti diversi del Quattrocento, ma in particolare a partire dagli anni Sessanta del secolo.
Intervennero, nell’esecuzione dei lavori, artisti di formazione diversa, che rivelano, a seconda delle caratteristiche di stile, influssi franco-fiamminghi e provenzali, ma anche di area lombarda e padana. Tra i pittori identificati, ricordiamo Giovanni figlio di Pietro de Scotis di Piacenza, che firma le Storie della Passione nell’area absidale della chiesa, e il Maestro di Borgiallo, cui gli studiosi attribuiscono il ciclo di affreschi datati 1487 e realizzati nella cappella di Santa Caterina, la terza della navata sinistra, dove troviamo la rappresentazione dello Sposalizio Mistico di Santa Caterina e, tra le varie figure presenti, un beato Giorgio, identificato dagli studiosi con il beato Giorgio di Biandrate dei conti di San Giorgio Canavese.
Prima di concludere questa breve visita della chiesa di San Giorgio, sostiamo ancora in due punti dell’edificio, che offrono spunti di riflessione interessanti.
Nella terza cappella della navata destra, in origine dedicata a San Bartolomeo, troviamo un grande affresco parietale, con tratti stilistici legati all’arte provenzale, che raffigura il santo titolare, Bartolomeo, nell’atto di presentare alla Vergine Giorgio di Valperga, affiancato dalla moglie, Margherita di Mentone, e dalle quattro figlie piccole. La consorte del conte Giorgio, morto nel 1471, viene presentata, a sua volta, alla Madonna da un santo molto venerato nelle Alpi occidentali, San Bernardo di Mentone (conosciuto anche come San Bernardo di Aosta, città in cui fu diacono), di cui viene rivendicata l’appartenenza alla stessa casata nobiliare di Margherita, i signori di Menthon (oggi Menthon-Saint-Bernard) in Savoia.
Qui è da notare un dettaglio significativo, riguardante il vestiario: le scarpe indossate da Giorgio Valperga, che sono del tipo à la poulaine, cioè con la punta allungata, e il copricapo di Margherita di Mentone, chiamato hennin, a forma conica e con velo trasparente che scende ai lati, sono entrambi elementi caratteristici della moda borgognona della seconda metà del Quattrocento, e questo è considerato un indizio significativo per la datazione degli affreschi.
Sulla parete sud della navata centrale, in posizione elevata come prescritto dai canoni dell’arte romanico-gotica, ammiriamo infine le Storie di San Michele Arcangelo, organizzate in una serie di riquadri disposti su due registri che mostrano episodi liberamente desunti dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Le scene raffigurate, con protagonista san Michele, appaiono suddivise in due gruppi: quello di sinistra si riferisce all’agire di Michele nella dimensione terrena, con le tre apparizioni al vescovo di Siponto, i compiti dell’Arcangelo nell’assistenza ai dubbiosi e nella cura dei malati, il suo ruolo di protettore degli eserciti e di “psicopompo”, colui che accompagna le anime dei giusti in paradiso; quello di destra riguarda invece le funzioni legate a una prospettiva più “celeste” ed escatologica, come la lotta di Michele contro l’Anticristo e il suo ruolo nella resurrezione dei morti e la chiamata delle anime per il giudizio finale.
Curioso è l’ultimo riquadro in alto a destra che mostra l’Arcangelo nell’atto di minacciare una persona con la spada, episodio che richiama una delle funzioni di san Michele che, secondo la tradizione cristiana, avrà anche il compito di impedire alle anime di sottrarsi al giudizio finale e, in seguito, alla eventuale condanna.
Paolo Barosso
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