Giorni fa, mettendo un po’ in ordine del materiale accumulato a casaccio sulla scrivania, mi è capitato tra le mani Storia della storia dell’arte, manuale di letteratura artistica in cui l’autore, Udo Kultermann, descrive e spiega le varie correnti critiche che si sono occupate di arte. Ora, mi rendo conto che si tratti di un riassunto molto semplicistico, ma a me era piaciuto molto conoscere anche i percorsi di vita dei critici che dovevo studiare per forza se volevo laurearmi. Non ricordo con esattezza da quale autore Kultermann fosse partito, ma ricordo che nel libro si parlava di studiosi, perlopiù tedeschi, che partivano da casa per poter vedere con i loro occhi le rovine di un passato glorioso, dando il via alla moda del Grand Tour.
Anche Jacob Burckhardt, critico vissuto nel XIX secolo, aveva fatto qualcosa di simile. Il suo metodo di lavoro consisteva nel viaggiare di mattino e di scrivere nel pomeriggio, tenendo sotto mano gli appunti presi durante le escursioni. Questo lavoro si concretizzò poi nel Der Cicerone, volume che affronta in modo non dottrinale monumenti che potevano essere, secondo l’autore, persi nel giro di breve tempo. Si potrebbe pensare che Burckhardt fosse troppo pessimista, ma secondo me aveva visto lungo: d’altronde basta ascoltare un telegiornale per sapere di nuovi crolli avvenuti a Pompei. Per quanto sia maestoso l’edificio che si ha davanti , non è così scontato che quello sarà ancora al suo posto nel giro di dieci anni. Ci si potrebbe dilungare sulla faccenda importantissima della trasformazione dei luoghi in cui viviamo, di quanto cambino a causa della costruzione di nuove autostrade, bretelle, centri commerciali e via dicendo, ma qui io vorrei seguire l’esempio del grande critico svizzero e fissare quanto mi incuriosisce di più, consapevole del fatto che ciò che c’è ora non è eterno.